Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

domenica 6 maggio 2018

'Ngiulìnu u bersaglièr-1

Piazza Armerina primi anni del Novecento

La storia vera di un giovane Piazzese di cento anni fa - 1

<<Per rendersi conto del tipo di vita che conducevano 'Ngiulìnu (Angelo) e la sua famiglia, bisogna chiudere gli occhi e cercare di visualizzare l’ambiente in cui veniva a trovarsi una cittadina del centro della Sicilia nel lontano 1893. Inutile dire che si era senza radio, TV, telefoni, e tutto quello di cui ora noi, immersi nella civiltà moderna, non sappiamo più fare a meno. Allora il concetto di “Italia” era conosciuto solo ad una ristretta cerchia di intellettuali. Tutto il resto della popolazone viveva alla giornata e non si interessava neanche di quello che accadeva nel paese vicino. Figuriamoci poi come ci si sentiva lontani da realtà come Palermo, Napoli o addirittura Roma. Vivendo poi in Sicilia, vi era inoltre la grossa piaga dell’analfabetismo che rendeva gli uomini completamente ciechi, anche se avevano una vista da aquila. Essere analfabeti significava dover dipendere da altri, più istruiti, anche per le piccole cose, come andare all’ufficio postale per ritirare un documento, oppure aspettare altra gente che leggesse ad alta voce i manifesti che venivano affissi sui muri, unico mezzo di comunicazione tra le Autorità e la popolazione. 'Ngiulìnu, figlio di contadini, non venne mandato a scuola. D’altra parte, allora, non vi era nessun obbligo e quindi ogni famiglia faceva quello che voleva dato che tutti avevano l’esigenza di avere braccia per lavorare in campagna. Terre che non erano mai di proprietà, ma che venivano affittate dai grossi proprietari terrieri. La sua gioventù fu quindi cadenzata dalla raccolta delle olive, delle mandorle, dalla mietitura del grano, e da tutte quelle attività che si svolgevano nei campi. Nel 1914 'Ngiulìnu era già militare. Era stato chiamato alla leva assieme ad altri suoi coetanei ed era di servizio in una caserma di Catania come bersagliere. Già essere a Catania per lui rappresentava uno stravolgimento totale del suo modo di vivere. Niente più vita nei campi, ma corse nei cortili della caserma, esercitazioni e poi passeggiate per le vie della città. Ogni tanto in caserma arrivavano notizie che in Europa alcune nazioni erano già in guerra e che l’Italia, come al solito, stava ancora pensando cosa fare. Ma ai bersaglieri non veniva comunicato mai niente. I sottufficiali e gli ufficiali di allora erano come degli dei che stavano in alto nei cieli a migliaia di chilometri di distanza dai poveri soldati. Solo qualche caporale o sergente rivolgeva loro la parola, ma dal maresciallo in poi nessuno si permetteva di perdere tempo con degli esseri inferiori. Non parliamo poi degli ufficiali superiori. Quelli erano veramente irraggiungibili ed appartenenti ad altri mondi. Quando il 24 maggio 1915 l’Italia entrò in guerra, 'Ngiulìnu e tutto il suo esercito partirono per il fronte. Le zone di guerra erano nell’Italia del Nord e quindi il nemico bisognava andare a scovarlo proprio lì. Ora, spostare un esercito da Catania fino all’odierno Trentino, Friuli o Veneto, non era cosa da poco. Le ferrovie erano in condizioni disastrose (cosa che permane ancora nel nostro Sud) e quindi la prima parte del viaggio avvenne in nave da Catania fino a Napoli. E qui vi furono le… prime perdite. Gente che non aveva mai visto il mare, venne messa su delle carrette e stipata dentro delle stive puzzolenti. Appena vi fu un po’ di mare grosso, erano tutti fuori a vomitare compresi, questa volta, e con grande gioia di tutti, anche i sottufficiali e gli ufficiali. Loro, però, vomitavano dai ponti superiori, perché quando si è… superiori, anche nello star male bisogna rispettare le regole. Il viaggio durò alcuni giorni e quando misero piede a terra, tutti avrebbero avuto bisogno di almeno una settimana per rimettersi in sesto, ed invece furono caricati su delle tradotte e portati a Nord. Il viaggio durò molti giorni. Ogni tanto le tradotte si fermavano in zone sconosciute, in aperta campagna e rimanevano bloccate per diverse ore. Nessuno dava loro spiegazioni e nessuno osava chiedere. Quando arrivarono a destinazione, il paesaggio era completamente diverso da quello che avevano lasciato al sud. Erano circondati da montagne e l’aria era frizzante, ma molto pulita. Dormivano in enormi cameroni con della semplice paglia per terra. Le condizioni igieniche erano disastrose ed i parassiti erano i loro compagni sia di giorno che di notte. A marce forzate vennero portati fino alla zona di operazione. Dovevano dare il cambio ad una Compagnia che era stata mandata nelle retrovia perché… completamente decimata. Questa, purtroppo, era la voce che girava, ma di ufficiale non si sapeva mai niente. Fortunatamente qualche cosa trapelava dal sergente Cirillo, un simpaticissimo napoletano che stava sempre attaccato al capitano di Compagnia Rapisarda. Il capitano era originario di Catania e, a dir la verità, si diceva che non godeva di una grossa stima tra i suoi superiori e soprattutto stava sulle scatole al Colonnello Comandante Sarca. Rapisarda, infatti, aveva il “grosso difetto” di fermarsi troppo a parlare con i subalterni ed in particolare con i bersaglieri della sua Compagnia. Spesso era stato richiamato perché in trincea era stato visto seduto per terra a fumare assieme a delle semplici reclute. Inoltre aveva sempre una parola di conforto per quelli che andavano in depressione dopo i violenti attacchi del nemico e, cosa veramente disdicevole, si prestava sempre per scrivere le lettere ai famigliari di coloro che erano completamente privi di qualsiasi istruzione. Questo rendeva il Capitano una persona ammirata da tutti, ma antipatica ai suoi pari grado. I bersaglieri, invece, erano molto fieri di avere un personaggio così alla mano come comandante e tutti si prodigavano affinché la loro Compagnia fosse sempre la più disponibile e quella in cui non vi erano mai liti, furti o falsi malati che cercavano di non essere operativi. La Compagnia di Rapisarda era, infatti, quella con il più basso grado di chiedenti visita ogni mattina e questo suscitava tra i vari ufficiali una forte gelosia ed anche commenti un po’ sarcastici sul suo modo di fare>>. (continua) Angelo MASUZZO¹

¹ Nipote più anziano di 'Ngiulìddu nato a Piazza nel 1948, da cinquant'anni vive a Rovereto in provincia di Trento.
cronarmerina.it

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