Sepolcro barone Marco Trigona, XVII sec., Cattedrale, Piazza Armerina
Sepulcher baron Marco Trigona, 17th century, Cathedral, Piazza Armerina

martedì 31 marzo 2015

Fontanella piazza Stazione / n. 15

La fontanella n. 15 è quella che è stata installata in piazza Stazione altrimenti chiamata piazza senatore Marescalchi. Tanti piazzesi ci ostiniamo a chiamarla ancora piazza Stazione, in ricordo della stazione ferroviaria inaugurata quasi un secolo fa, nel settembre del 1920. Inutile spiegare cosa poteva significare per un centro abitato dell'entroterra siciliano l'arrivo della linea ferrata. Era il futuro che entrava prepotentemente nella vita da sempre contadina, che aveva potuto contare per spostarsi soprattutto sulle gambe e su quelle, quando c'erano, dei quadrupedi, con tutto quello che comportava. Per esempio, chi andava a lavorare nelle miniere di Grottacalda o Floristella, sino ad allora, sia all'andata che al ritorno, era obbligato a fare quello che oggi si fa nel tempo libero per tenersi in forma, trekking per 2 ore e mezzo all'andata e altrettante al ritorno, lungo percorsi impropriamente chiamati strade. Vuole dire che per essere sul posto di lavoro alle 8 ci si doveva alzare alle 5 per intraprendere il "pre-allenamento" alle 5:30, per poi essere già sufficientemente "riscaldati" per quello vero e proprio, tra una picconata e una boccata di aria "salubre" a centinaia di metri sottoterra. Il tutto sostenuto efficientemente da un'alimentazione completa, suggerita da un pool di dietologi, diciamo così, un po' spartani, che teneva lontani i nostri antenati dall'obesità e dall'ipertensione. Invece, col treno a vapore prima e la littorina poi, in circa 30 minuti si era già al "parco divertimenti".Tutto ebbe fine nel 1971, quando il trasporto su gomma surclassò quello su rotaia, lasciandoci orfani delle grandi avventure che si vivevano ad ogni viaggio. Chi poteva ridarci più i magoni delle partenze sul lungo rettilineo verso u sapun'ficiu, o le gioie degli arrivi alla prima aria da B'ddia e il "profumo" delle carrozze, gli immancabili spifferi, il fumo del vapore negli occhi o lo sfrenato "ballo caraibico" sulle littorine nei lunghi rettilinei?

Per approfondire gli argomenti sulla ferrovia "piazzese" consiglio di andare a leggere i post "A bedda ferrovia" pubblicati nei giorni 7, 8 e 10 giugno 2013. 
Gaetano Masuzzo/cronarmerina         

domenica 29 marzo 2015

Le targhe sui muri / 3 ultimo

Targa assicurazione incendio su un portone di una chiesa a Piazza
Le targhe, che si diffusero maggiormente in Germania, erano fabbricate con ogni sorta di metallo, più recentemente anche di plastica, e in ogni forma geometrica, riportando svariati stemmi e simboli, oltre al nome della Compagnia. Le più visibili ed esteticamente più accettabili erano quelle in metallo smaltato. E' ovvio che a distanza di decine di anni, per non dire di secoli, le targhe sono diventate oggetti per collezionisti e la più importante collezione è quella americana di New York con 1800 esemplari, mentre quella inglese ne conta oltre 1000 di tutti i Paesi del mondo, con alcuni pezzi che hanno raggiunto quotazioni con diversi zero (fino a 5000 sterline). In Italia, nel corso di 160 anni, dalle molte Compagnie italiane e straniere sono stati diffusi oltre 1000 differenti modelli. Questo sino all'inizio degli anni 40, perché le necessità dell'industria degli armamenti vietavano l'impiego di metalli per usi non bellici. Definitivamente scomparvero per motivi fiscali nel 1947, perché il Ministero delle Finanze imponeva un aumento così elevato della tassa di abbonamento da far desistere le Compagnie. Anche negli altri Stati questa tradizione si è progressivamente affievolita e poi del tutto abbandonata ed è ormai difficile reperirle, o perché distrutte in occasione di restauri delle facciate o perché già rastrellate dai collezionisti. Ne rimangono ancora poche inchiodate sui muri, ossidate, arrugginite o sbiadite e deteriorate dalle intemperie. Le targhe incendio sono caratteristiche impronte del passato che rappresentano un'originale tessera del mosaico della storia dell'assicurazione, ormai ricordate soltanto o dai collezionisti o dai curiosi come me ch' nan ànu nènt chi fè! (fonte: assimuseo.it)
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

sabato 28 marzo 2015

Oggi su RAI 3 ore 18:00


L'importante è partecipare, complimenti lo stesso.

(fonti: STARTNEWS.IT e FACEBOOK)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

venerdì 27 marzo 2015

Le targhe sui muri / 2


Targa assicurazione incendio sul muro di un edificio di Piazza
Si ritiene che la prima targa sia stata affissa tra il 1680 e il 1683, ovviamente dal Fire Office¹, e l'iniziativa fu subito imitata dagli altri assicuratori. Pare che le Fire Brigades², quando accertavano che un edificio in fiamme era assicurato da un'altra compagnia, o non lo era affatto, tornassero indietro astenendosi dall'intervenire, o assistessero inattivi allo spettacolo, a meno che la loro eventuale opera venisse lautamente compensata. L'usanza delle Mark³ si diffuse rapidamente in tutto il mondo, per prima negli Stati Uniti, man mano che sorgevano Compagnie di assicurazione incendio. In Inghilterra, paese in cui era nata, questa usanza cominciò a diminuire già verso il 1860 per poi cessare definitivamente nel 1880, mentre veniva mantenuta ancora per molti decenni in tutti gli altri Paesi. In Italia, nel territorio che allora faceva parte dell'impero austro-ungarico, e cioè a Trieste, la prima compagnia che esercitò il ramo incendio, adottando l'usanza delle targhe, fu la "Azienda Assicuratrice", fondata nel 1822 e poi assorbita nel 1882 dalle "Assicurazioni Generali" (come quella nella foto). Era proibito staccare o procurarsi illegalmente le targhe e le pene erano abbastanza dure, oltre alle multe erano previste pene corporali e frustate. Più tardi, quando i pompieri divennero istituzioni pubbliche, non fu più necessario che le Compagnie li finanziassero direttamente ma lo fecero con versamenti allo Stato o ai Comuni, a questo punto le targhe assunsero una funzione pubblicitaria, oltre che psicologica. Infatti, nel XVIII e XIX secolo le Compagnie ritennero che l'esposizione delle targhe, attestanti l'esistenza di una garanzia assicurativa, potesse costituire un valido deterrente negli incendi per odio o vendetta molto comuni in quei secoli, convincendo i malfattori dell'inutilità di appiccare il fuoco perché l'assicurato sarebbe stato comunque risarcito. Per questi motivi nei contratti era specificato in modo particolare l'obbligo dell'affissione della targa, ben accetto e condiviso dagli assicurati per gli ottimi risultati. (continua)

¹Prima compagnia assicuratrice inglese che si occupò di incendi. 
²I primi pompieri privati delle Compagnie assicurative inglesi. 
³Come venivano chiamate le targhe in inglese.
  Gaetano Masuzzo/cronarmerina

mercoledì 25 marzo 2015

Le targhe sui muri / 1

Targa incendio sulla facciata di un edificio di Piazza
Dopo più di due anni, mi rendo conto che il merito principale di smanettare su questo blog è stato quello di avermi fatto diventare una sorta di curioso a 360°. Questa trasformazione, spero mai sfociata in indiscrezione e invadenza, mi ha fatto scoprire, chiarire e rendere conto del significato di tante cose, più o meno grandi, più o meno antiche, che sono state e continuano a essere sotto gli occhi di tutti. Una di queste curiosità, mai approfondite, è quella che si riferisce alle targhe in metallo arrugginito, con delle scritte in rilievo presenti in diversi edifici della città. Mi ricordo che prima erano molto più numerose, ma quelle poche rimaste sono bastate ad accendermi la lampadina per una piccola ma esaustiva ricerca. Dopo il catastrofico incendio che nel 1666 distrusse i due terzi di Londra, arrecando danni incalcolabili alla consistenza edilizia della città, si evidenziò la necessità di creare strutture che potessero indennizzare i proprietari degli immobili distrutti perché andati a fuoco. Sorse così l'idea di costruire società di assicurazione e la prima fu nel 1680 il Fire Office, moltiplicandosi negli anni successivi. Poiché a quei tempi non esistevano in quel Paese strutture pubbliche che potessero intervenire per domare i frequenti incendi di case, per lo più costruite in legno, il fondatore del Fire Office, dr. Nicholas Barbon, ritenne conveniente per la sua società creare e mantenere a spese della medesima un vero e proprio corpo di pompieri, denominato Fire Brigade, col compito di intervenire a salvataggio degli immobili assicurati soltanto al suo Office. Sorse così l'idea di contrassegnare questi immobili con una targa, denominata Mark, da affiggere sulla facciata, allo scopo di riconoscerli e distinguerli da altri assicurati presso società concorrenti o privi di questa garanzia. (continua) Gaetano Masuzzo/cronarmerina     

lunedì 23 marzo 2015

Fontanella ex Ospedale Chiello / n. 14

La fontanella n. 14 è quella dell'ex Ospedale Chiello. Come si può vedere a dx nella foto, ormai è senza rubinetto e quindi in disuso da qualche anno, ma vi assicuro che prima era molto frequentata, specie quando c'era l'Ospedale "Michele Chiello" in funzione. Dopo aver approfondito per una ragione o per un'altra la storia riguardante questa zona posso, senza ombra di dubbio, affermare che questo è stato il sito più frequentato e attivo della nostra Città. Perché, oltre ad essere in prossimità della Cattedrale e del Palazzo Vescovile, con tutto quello che comportava, era stato secoli prima il luogo dove era sorto il Castello di Placia o Placea, in alcuni documenti chiamato Castrum Reginae, per controllare la popolazione dei casali e borghi ancora arabi. Costruito su questo colle da militi Lombardi intorno al 1076, già pochi decenni dopo, era diventato un punto di riferimento e un centro di aggregazione per il nuovo borgo con non più di un migliaio di abitanti. Questo fu il "centro abitato" distrutto nel 1161 da re Guglielmo I per rappresaglia e, qualche anno più tardi, nel 1163, da lui stesso ricostruito sulle ceneri rimaste. Nei secoli successivi questa area ha visto, oltre alle prime fiere annuali e periodiche, la nascita di un convento francescano al posto del Castrum Reginae, di chiese e ospedali che avrebbero cambiato il loro nome a secondo dei Santi protettori dei vari Ordini Religiosi che si sarebbero succeduti, della Regia Scuola di Avviamento Arti e Mestieri, di un Monte di Pietà, di un'Opera degli Esposti o Trovatelli, della dimora dei cappellani della Cattedrale, e per finire, è storia dei nostri giorni, del Vescovado.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

domenica 22 marzo 2015

Gaetano Marino Albanese/5 e ultimo

Questa è la continuazione dell'articolo sul giornale "LA SICILIA" del prof. Gianfilippo Villari relativo al poeta-ebanista Gaetano Marino Albanese

"Ecco com'egli in un suo volume riproduce quest'omaggio del Marino alle donne piazzesi:  

I fòm'ni ciacési 
  Sò mégh d' l'enési: 
  Forti amanti d'art, 
tôti vonu a so part.
(Le donne piazzesi - son meglio dell'ennesi: - grandi amanti d'arte - voglion tutte la loro parte); 

come si vede la genuinità dei versi e la loro stessa pronunzia (senza doppie consonanti), è rovinata dalla epurazione grammaticale compiuta dal Piazza. 
Ed ecco come appare più fedele l'interpretazione dialettale, riportando alcuni versi originali (riprodotti da un foglietto volante), ove il poeta, adirato contro i compaesani, immagina di andare al cimitero e di incontrare il defunto Scibona che gli dà man forte: 

...V'sg'nai mpuru n' Sc'bona, 
  ggh disci: "Ziu Carmè, com stà?" 
  M' diss: "Meggh' mort, zzà sö. 
  Ch'ò pais d' nfàmi cumpagnà!"... 
(...avvicinai pure da Scibona - gli dissi: "zio Carmè, come sta?" - Mi disse: "Meglio morto, qua sotto - che al paese, da infami accompagnato!"). 

Accanto alle sventure del paese anche le sciagure della patria, che fanno piangere di dolore il nostro Ciucciuledda, in questa romantica composizione che forse riassume tutto il sentire dell'uomo:  

L'Italia era n'ort, era 'ngiardingh', 
  Parèva na r'gina tutta sciuri; 
  Ora p'rdì a guerra, va 'ncarringh 
   E n' sbattoma a testa e muri muri. 
  L'Italia, i quattr sa vönu strazzuliè 
  Vönu Triest, Tripuli e l'Imperu! 
  Rid'nu öra da nostra sv'ntura 
 E fanu a pasg p'addascenn... a zeru. 
 (L'Italia era un orto, era un giardino - Sembrava una regina tutta fiori - Ora ha perduto la guerra, va a rotoli - E sbattiamo la testa al muro. - L'Italia, i quattro se la vogliono stracciare - Vogliono Trieste, Tripoli e l'Impero! - Ridono della nostra sventura - E fanno la pace per lasciarci... a zero)." 

Gianfilippo Villari
Gaetano Masuzzo/cronarmerina 

 

venerdì 20 marzo 2015

Gaetano Marino Albanese/4

Tra le mie cose più care, conservo questo articolo sul giornale "LA SICILIA" del compianto prof. Gianfilippo Villari di qualche decennio fa, su mio nonno Gaetano Marino Albanese (1889-1958).

CULTURA E POESIA VERNACOLA A PIAZZA ARMERINA
Su foglietti volanti
i versi di "Cicciuledda"
Gaetano Marino Albanese, ebanista, fu dopo Carmelo Scibona, il rappresentante più genuino della poesia piazzese -- Delle sue composizioni non fu mai stampata alcuna raccolta

Gaetano Marino Albanese, detto Ciucciuledda, ebanista, come già abbiamo detto, fu dopo Carmelo Scibona, il rappresentante più genuino della poesia popolare piazzese: di lui come di tanti altri, non è mai stata stampata nessuna raccolta; rimangono soltanto quei pochi foglietti volanti, che non sono andati perduti, ove il Marino faceva stampare i suoi versi e distribuiva agli amici. I suoi scritti inediti sono ancora in possesso dei suoi figlioli.
Di lui diceva nel '22 Filippo Piazza, con la superiore condiscendenza di un uomo che si sente molto colto: "...fornito d'un facile estro poetico, ma senza cultura. Possiede, invece, una buona dose di buon senso e molte nozioni apprese nell'osservazione attenta della vita, anche della lontana America. Nei versi il Marino riflette la sua abituale piacevolezza comica della conversazione, in una forma raramente stentata che ritrae dalla viva bocca del  popolo... Certo dal Marino non possiamo aspettarci un verso sempre corretto, rime simmetriche, né l'esatta grafia delle varie gradazioni vocaliche e delle consonanti ch'egli come ogni altro dilettante raddoppia sulla falsariga del dialetto siciliano". Il fatto è che il canonico Piazza non si rendeva conto che la vera lingua era quella che, pur subendo continue metamorfosi, veniva parlata e resa viva dal popolo; mentre quel vernacolo che egli aveva costruito dopo studi profondissimi non era che una pia immagine, che schematizzava e incatenava la libera espressione in rigidissime regole fonetiche e lessicali, di cui il popolo non aveva assolutamente bisogno.
(continua)
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

martedì 17 marzo 2015

Gaetano Marino Albanese/3

Prima dell'avvento del Fascismo Gaetano Marino Albanese (1889-1958) era di tendenze socialiste, ma in seguito ad alcune brutte esperienze, abbastanza consuete in quel periodo, dovette limitarsi a comporre poesie satiriche pro o contro quel partito politico. Amava scrivere poesie di getto, facendosele spesso correggere dal maestro elementare Spadaro suo vicino di casa, in occasione di fatti che si verificavano a Piazza e che inviava anche al quindicinale satirico palermitano Po' t' 'u cuntu!...(nella foto) senza però trascurare la scrittura di libri di cui si sono perse le tracce (L'Artigiano ai Genitori del Duce; Rimpiango la scuola; Colui che si redime). In alcuni componimenti il poeta piazzese in galloitalico anch'egli falegname, Carmelo Scibona, lo ricorda in diversi epigrammi e poesie nella sua opera U Cardubu del 1935, chiamandolo col soprannome Ciucciuledda e includendolo tra gli eredi del notaio Remigio Roccella, u patri d'a ciaccésa poisìa. Partecipò a diverse Mostre d'Arte ed Esposizioni con mobili originali da lui costruiti, conseguendo medaglie alla Mostra di Milano, alla Mostra di Tripoli, in quella Circoscrizionale di Piazza e in quella Artigianale di Enna. Nel 1954, in seguito a un controllo fiscale nel suo negozio di via Garibaldi, subì una grossa multa che, dopo qualche giorno, dal dispiacere gli provocò una paralisi del lato destro del corpo. Si recò a chiedere la grazia anche a Siracusa, dove in quei mesi un quadro della Madonna lacrimava ed elargiva miracoli, ma la paralisi progressiva non gli lasciò scampo. Morì il 22 aprile del 1958 nella sua casa del cortile Minnella dietro Santa Rosalia, dopo aver chiesto l'ultimo desiderio a mio padre di fargli bagnare le labbra con una nespola portata da Catania. Io, che porto il suo stesso nome come altri quattro nipoti, non potevo non cogliere l'occasione per ricordare con tanto affetto cö ch' m' cattàva sèmpr u past'cciot no caffè da ciàzza ovvero a me nonnu Tatànu Ciucciuledda.

(alcune notizie sono tratte da Liborio* MARINO, Ricordando mio Padre - Gaetano Marino Albanese- Artigiano Poeta, Sicilgrafica, Caltagirone, 1982)

*Liborio chiamato anche Bobò, secondogenito di Gaetano Marino Albanese.
 Gaetano Masuzzo/cronarmerina

domenica 15 marzo 2015

Gaetano Marino Albanese/2

Gaetano Marino insieme ai suoi figli maggiori davanti al negozio di mobili in via Roma, anni 30
Gaetano Marino Albanese tornato indenne dal fronte, aprì la sua falegnameria in via Roma, allora tra le strade più frequentate e attive di Piazza, subito dopo l'edicola votiva alla Madonna, nel palazzo Arena. Qualche anno più tardi aprì il suo primo negozio di mobili sempre nella stessa via, ma accanto alla villetta "Ciancio" allora chiamata "delle rose", nel palazzo Angelo Marchese (nella foto). Quasi contemporaneamente aprì insieme ad altri due soci una segheria a Costantino. Chiusa questa società, riaprì un altro laboratorio in via Mazzini per poi trasferirlo definitivamente in via Roma, ma col negozio di mobili artigianali in via Garibaldi, nell'ultima porta del palazzo delle suore salesiane. Sin da bambino, insieme alle qualità artigiane, furono apprezzate anche quelle umoristiche, che lo rendevano simpatico tanto da essere invitato spesso alle feste da ballo, matrimoni, battesimi, dove poteva declamare in dialetto le sue poesie, barzellette e scenette, alternandole col canto e il suono della chitarra e del mandolino. Anche le autorità cittadine lo volevano come collaboratore in quasi tutte le feste patronali e folcloristiche. Infatti, fu il principale promotore della prima festa in onore della patrona subito dopo la fine del Conflitto mondiale nel 1947. Indimenticabili furono i lanci di "balluni" aerostatici colorati e dalle forme inconsuete lanciati dallo Scarante verso la Cattedrale e l'arrivo di bande musicali da tutta l'Italia Meridionale. Non pochi furono i casi di componenti di queste bande che poi decisero di risiedere e sistemarsi nella nostra Città.  Dieci anni prima, insieme alla guardia municipale Gaetano Tudisco, si era interessato a far arrivare una nuova statua di S. Gaetano per la chiesa dei Teatini. Organizzava pure originali e affollate novene per Natale e, durante il carnevale, feste da ballo con musicanti e scenette umoristiche al teatro Garibaldi, riscuotendo successo e commenti positivi. Per molti anni fu segretario della locale Federazione degli Artigiani e poi di quella dei Commercianti. (continua)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

venerdì 13 marzo 2015

Gaetano Marino Albanese/1

Il poeta-falegname Gaetano Marino Albanese
 Gaetano Marino Albanese 
(1889-1958)

Gaetano Marino Albanese nacque a Piazza Armerina il 25 marzo 1889 da Giuseppe Marino, calzolaio ai Canali, e Francesca Albanese, anche lei canalèra. Sin da bambino praticò la bottega di falegnameria dello zio Angelo, fratello della madre, trascurando completamente la scuola, tanto da frequentare appena la II elementare. A circa 14 anni, per poter aiutare finanziariamente la famiglia, lasciò la bottega per andare a lavorare presso la miniera di Grottacalda, come falegname carpentiere. Dopo cinque anni di disagi e sacrifici (si facevano a piedi 15 Km. all'andata e 15 al ritorno) nel viaggio di andata di mattina presto, lui con altri compagni all'improvviso sentirono tremare la terra. Arrivati a Grottacalda, seppero del terremoto a Messina che, dopo qualche settimana, raggiunse insieme allo zio Angelo per guadagnare qualche soldo, costruendo baracche per i terremotati. A conclusione dei lavori rientrò a Piazza e resosi conto delle enormi esigenze e del bisogno in famiglia, decise di emigrare in America Meridionale. Purtroppo in quella del Sud non c'era altrettanto lavoro come in quella del Nord e, avendo constatato di persona che erano più i sacrifici che i guadagni, dopo circa un anno tornò in paese. Dall'Argentina portò con sé tante novità, che gli fecero acquisire molta clientela nella sua falegnameria. Nel 1915 si sposò con Filippa Denaro, con la quale avrebbe avuto 6 figli, 4 maschi e 2 femmine, fra le quali mia mamma Francesca nel 1922. Appena avuto il primo figlio, Giuseppe, dovette adoperare il sistema "del sale inglese" per poter ritardare il più possibile la partenza per il fronte della Grande Guerra. Quando sembrava di aver raggiunto l'obbiettivo, fu chiamato ugualmente alle armi, ma fortunatamente rimase nelle retrovie a fare il falegname. (continua)
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

giovedì 12 marzo 2015

Edicola n. 21

Questa è l'Edicola Votiva della Bellia. Si trova lungo il percorso che compiono gli amatori di jogging e footing tra i nostri straordinari boschi in qualsiasi stagione. E' stata costruita 8 anni fa e accoglie una statua, non tanto piccola, della Madonna Immacolata Concezione. La bella cappella è stata costruita in pietra a vista molto bene a forma di nicchia, a sx dello spiazzo che c'è alla fine della non leggera salita, provenendo da Piazza. Il superamento dell'asperità invita, ai meno allenati, a fare un break proprio sui sedili in legno che ornano la cappella. E' piena di piccoli segni di devozione come coroncine del rosario, nastri colorati, qualche conchiglia come quelle del percorso di Santiago di Compostela, cordoncini di boy scout, qualche vasetto per i fiori, qualche lumino. Avevo già parlato di questo simpatico luogo, nel post dell'1 agosto 2013 dedicato alla Fontana e Abbeveratorio n. 7 che c'è lì di fronte. Colgo l'occasione per dire nuovamente grazie a chi ha contribuito a erigere l'edicola e, perché no, a tutti i passanti che la rispettano mantenendola egregiamente.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina      

martedì 10 marzo 2015

Quando i cavalli erano a vapore

Treno a vapore in servizio sulla Dittaino-Piazza-Caltagirone
"Il dott. Giusto, morto mezzo secolo fa [e dunque nel 1885] riteneva che nel treno ci fossero nascosti i cavalli per farlo camminare"¹

A pagghjetta

Quann' a Giust', d'u purteu d'a ferruvia
Gghj' cadì a pagghjetta ménz' a via
Cuménzà a griè: Spetta gnuri spetta
Tengh' i cavaddi e pìgghj'm' a pagghjetta!

Carmelo Scibona 
(U Cardubu, 1935)

(La paglietta - Quando a Giusto dal finestrino del treno /Gli cadde la paglietta per terra /Cominciò a gridare: Aspetta gnuri² aspetta / Ferma i cavalli e prendimi la paglietta!)

¹Nota originale all'epigramma nel volume U Cardubu del 1935.
²Così ci si rivolgeva allora al cocchiere. 

(tratta da C. Scibona a cura di S. C. Trovato, I mì f'ssarì - U Cardubu, 1997, p. 272 e non 274)
  
Gaetano Masuzzo/cronarmerina

domenica 8 marzo 2015

Piazzesi GRANDI e piccoli / 2

Piazza Garibaldi, primi 900
Oggi le ultime strofe del sonetto in siciliano del poeta-falegname Carmelo Scibona (1865-1939) che ci ricorda concittadini di un secolo fa che si distinguevano per virtù o difetti non comuni.

Òmini ranni

Rresta vivu lu nomu di Brusgiànu¹
Cu dda vuci e ddu tonu di supranu
Rresta eterna, di chistu gran poeta 
La canzuni "A ch' nudd' m' nqueta...".

Li veru sàuti li facìa Marianu
Sàuti murtali a tri e quattru 'ncranu
Spissu 'Mpalermu iva a dari provi
Turnannu a pedi cu muzzuna e angiovi².

E fra li ranni, fu Saru Baddotta
Dò Gnaziu Sventa Marrùggiu e Giuanninu
Cola Santoru, lu vecchju Piddotta,
Natola, sunaturi d'ottavinu³.

A st'òmini successi lu Mammuni,
E l'ùrtimu: Lu chjupp' ô Pirpittuni...•

Carmelo Scibona
(U Cardubu, 1935)

¹Era Gaetano Brusciano che godeva di essere provocato e, quando era lasciato in pace ripeteva: "ah, ch' nud m' nqueta!".
 ²Era Mariano Caldara, sempre con la sua pipa in bocca, era specializzato nel fare salti per un grano ovvero gratis. Alla richiesta una volta a Palermo da Agenti di P. S. perché si trovava in quella città "per le prove di salti", rispose: "M'è v'nut a catè ns'càr" = 'Sono venuto a comprarmi un sigaro'. Da Palermo se ne tornava a piedi, soltanto con mozziconi di sigaro e acciughe.
³Erano Rosario Ballotta, don Ignazio soprannominato "Sventa" cioè lo scorreggione, un altro soprannominato "manico di zappa, piccone, bastone", un altro Giovannino, un altro Nicola Santoro, un altro ancora l'anziano Pillotta e Natola, suonatore di ottavino.
•Gli ultimi due contemporanei erano uno soprannominato "il Mammone" e l'altro "Pirpittuni" ovvero Gaetano Speciale, il quale non era uno stupido, ma preoccupato a cercare una buona compagnia senile per avere degli eredi a cui poter lasciare la sua proprietà. Per questo divenne il bersaglio divertente dei monelli che gli gridavano: "Comu c' cadìnu l ali, Pirpituni! Disgrazzïatu, bannunatu d'i fimmini. Pirpituni, na rrosa cincu liri". 
Secondo me l'ultimo verso deve essere inteso così: "E l'ultimo dell'elenco: il verso (chiù) del/di Pr'p'töngh (come veniva chiamato a Piazza l'uccello upupa e che era il soprannome dello Speciale)."

(tratto da C. Scibona, a cura di S. C. Trovato, I mì f'ssarì - U Cardubu..., 1997, pp. 212, 213)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina
  

sabato 7 marzo 2015

Piazzesi GRANDI e piccoli / 1

Piazza Garibaldi, anni 20
Per darvi un assaggio delle istantanee di vita piazzese, che troviamo nelle poesie del poeta piazzese Carmelo Scibona (1865-1939), vi voglio far leggere questo sonetto in siciliano che parla di alcuni concittadini che si distinguevano per una virtù o un difetto non comune, a cavallo dell'Ottocento e del Novecento. Nel commento al componimento ci si pone questa domanda: "Che non sia la conseguenza della fusione delle varie stirpi venute in questo crogiuolo etnico linguistico?"

Òmini ranni

Fra ranni lu chjù ranni fu Pasquali¹
Fu n gèniu di cirveddu veru finu
A st'omu cussì lustru ed immurtali
Successi Peppi l'orbu e Modestinu².

E Mariu³, fra l'artisti fu n valuri,
La sò vuci faccìa mparadisari,
Di li ssò pezzi fici gran fururi;
"Tunnina riginedda di lu mari..."

Brasi, u tortu, fu n celebri tenuri*,
Tamagnu** nun lu poti superari.
Cungetta, a torta°, ni mpazzìu d'amuri 
Pi la sò vuci e li biddizzi rrari...
 (continua)

¹Era Pasquale Falciglia, lo stupido che il poeta, al tempo della sua fanciullezza, vedeva sempre con le pietre in mano. Una volta schiacciò la testa ad un ragazzino e si mise a gridare d'avervi trovato "sangue e materia".
²Pepi e Modestino, erano altri stupidi contemporanei.
 ³Era Mario Bologna, banditore di pesce che con la sua bella voce sonora dava una tonalità diversa a seconda del pesce bandito. In questo caso gridava la tonnina, reginella del mare.
*Era Biagio Lo Curto, altro banditore, brutto di faccia, torto di gamba e del braccio destro.
**Era il celebre tenore torinese Francesco Tamagno (1851-1905).
ºEra Concetta a Torta, detta così perché zoppa d'un piede. Squlibrata di mente, a casa si faceva la comunione con le ostie che le fornivano i farmacisti. Diceva sempre d'essere la pecorella smarrita che veniva condotta all'ovile. 
(tratto da C. Scibona, a cura di S. C. Trovato, I mì f'ssarì - U Cardubu..., 1997, pp. 210, 211)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina



venerdì 6 marzo 2015

Avvertenza ai cultori del galloitalico

Copertina dell'opera di Salvatore C. Trovato, 1997

Avvertenza ai cultori del galloitalico

Tutte le trascrizioni dei componimenti dello Scibona che saranno presentati su questo blog, anche se tratti dal volume nella foto, Carmelo SCIBONA a cura di Salvatore C. TROVATO, I mì f'ssarì - U Cardubu, Ed. IL LUNARIO, EN, Tip. Lussografica, CL, 1997, rispettano l'edizione originale (editio princeps) de U CARDUBU, pubblicata a Milano nel 1935 a cura dell'Avv. Nino Arena. 

Pur non avendo consultato personalmente l'edizione originale del 1935, di questa la trascrizione è stata possibile perché nel volume del 1997 il Trovato, oltre alla sua "edizione filologicamente sicura e ortograficamente coerente" accompagnata da "una adeguata traduzione in italiano", avendo potuto consultare oltre all'opera del 1935 anche i manoscritti del poeta piazzese, ha riportato in nota tutte le variazioni ivi riscontrate rispetto alla sua versione da lui "purgata delle gravi incoerenze ortografiche e degli errori della edizione Arena".

Questa avvertenza si è resa necessaria perché nei prossimi giorni verranno pubblicati alcuni componimenti del poeta-falegname piazzese, con relativa traduzione in italiano.

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

giovedì 5 marzo 2015

Il poeta Carmelo Scibona / 5 e ultimo

Busto del poeta Carmelo Scibona nell'omonima villetta al Monte
Secondo il mio modesto parere, l'opera di Carmelo Scibona (1865-1939) oltre alle indubbie qualità artistiche, poetiche, linguistiche e satiriche, è da ritenersi altamente preziosa per averci tramandato uno spaccato della vita (nomi, cognomi, soprannomi, 'ngiùrie, professioni, politica, abitudini, vizi e virtù) che si conduceva nella nostra Città a cavallo dei due secoli passati, Ottocento e Novecento. Il primo componimento dei complessivi 270 è del 1878, quando aveva 13anni, e il secondo del 1883. Pertanto, anche in mancanza di foto e di video, ma grazie ai versi dello Scibona, accompagnati da tante note informative, ci si può calare nella vita quotidiana dei nostri nonni per prendere, perché no, anche qualche lezione. La nostra Città al poeta ha intitolato una via e la villetta accanto alle scuole della Trinità, ex ciàngh Balilla, nel suo quartiere Monte, dove sul busto realizzato dal bravo scultore piazzese Salvatore Martello (1948-2008) troviamo la scritta

CARMELO SCIBONA
POETA DIALETTALE 
PIAZZESE
si trovano scolpiti i seguenti versi di avvertenza che troviamo nella prefazione dell'autore al volume U Cardubu pubblicato a Milano nel 1935

È meggh a dirlu prima
Senza purtèm a strénz.
Quatr m' l'è sauvàt:
Serv'nu pa s'ménz.

(È meglio dirlo prima, /Senza che mi si costringa, /Un po' me le sono conservate, /Servono per sementa.)

(tratto da C. Scibona, a cura di S. C. Trovato, I mì f'ssarì - U CARDUBU e tutti gli altri componimenti editi e inediti, Ed. IL LUNARIO EN, Tip. Lussografica CL, 1997)

Nel prossimo post ci saranno le avvertenze ai cultori del galloitalico per la lettura dei componimenti che verranno pubblicati.   
Gaetano Masuzzo/cronarmerina 



martedì 3 marzo 2015

Il poeta Carmelo Scibona / 4

Piazza Garibaldi anni 30, a dx il Circolo Operaio frequentato dal poeta Scibona
Mentre il primo scopo della pubblicazione del libro di Carmelo Scibona, sembra essere stato raggiunto per averlo fatto conoscere, oltre che ai contemporanei, anche alle future generazioni, per il secondo, relativo al raggiungimento di una certa agiatezza, non ebbe altrettanta fortuna. Infatti, lo slancio dei Piazzesi nell'acquistare U Cardubu non fu pari a quello dei pochi altri residenti a Milano, nell'addossarsi le spese della stampa. Molte copie rimasero invendute e "il poeta visse gli ultimi anni della sua vita in penose ristrettezze economiche. Colpito da edema polmonare, confortato dalla moglie, dai figli e da alcuni vecchi e affettuosi amici, si spense il 12 aprile 1939. I funerali vennero pagati con gli scarsi proventi della sua opera." Un poeta di tale levatura non poteva lasciare questo mondo se non con un'ultima opera di grande modestia, sincerità e franchezza. Quando sentì prossima la fine, chiese al suo amico epigrammista Aristide Sottosanti di preparare l'epitaffio per la tomba senza infingimenti e ipocrisie, con queste parole:

A Rirìddu

E Rirì, m'è fè m-piasgér':
Quann' véngh' ô zz'm'tér',
Sovra a préa d'u mì fussöngh'
Non ghè fè na scr'zziöngh'
Cina d' farfantarì...
Basta n S cu na C. 

Carmelo Scibona
(U Cardubu, 1935)

(Ad Aristide /E Rirì, mi devi fare un piacere: /Quando vengo al cimitero, /Sulla lapide della mia fossa /Non ci devi fare un'iscrizione /Piena di menzogne... /Basta una S con una C.)
(continua)

(tratto da C. SCIBONA, a cura di S. C. TROVATO, I mì f'ssarì - U CARDUBU e tutti gli altri componimenti editi e inediti, Ed. IL LUNARIO EN, Tip. Lussografica CL, 1997)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina

domenica 1 marzo 2015

Il poeta Carmelo Scibona / 3

Il Podestà Avv. Nino Arena (1895-1952)
Il volume U Cardubu del poeta piazzese Carmelo Scibona, fu stampato presso l'Officina tipografica Gilardoni-Chiesa-Gallazzi, in via Francesco Soave, 24, Milano, a spese e a cura dell'Avv. Nino (Antonino) Arena (1895-1952) che, mecenate di tanti artisti piazzesi del suo tempo, ricoprì la carica di Podestà (come si chiamava allora il Sindaco) della Città dal 1938 al 1942. La foto in divisa si riferisce all'inaugurazione nel 1941 del Regio Istituto Tecnico Industriale per Meccanici ed Elettricisti "C. Cascino", per il quale si era tanto interessato. Successivamente si trasferì con la famiglia a Milano, a pochi passi da piazza Duomo. Proprietario di gran parte della superficie su cui sorge l'attuale Villa Romana del Casale, divulgò nel dopoguerra la scoperta dei mosaici a beneficio di tutti, in cambio di un modesto risarcimento per l'esproprio del terreno. Il 29 dicembre del 2012 la prof.ssa Salvina Ciffo Arena ha donato i manoscritti originali relativi all'opera dello Scibona di proprietà del suocero, avv. Arena, al Comune di Piazza Armerina (post del 29/12/2012 "Donati al Comune i quaderni di Scibona"). (continua)
(in parte tratto da C. SCIBONA, a cura di S. C. TROVATO, I mì f'ssarì - U CARDUBU e tutti gli altri componimenti editi e inediti, Edizioni IL LUNARIO EN, Tip. Lussografica CL, 1997.)

Gaetano Masuzzo/cronarmerina